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Sauvage Squad@ Badlands 2024

Sauvage Squad@ Badlands 2024

Come spesso mi accade ultimamente, ho deciso di partecipare a Badlands all’ultimo momento. Non perché sia disorganizzato, o almeno non solo. È più che altro l'attesa a turbarmi: la pianificazione, i giorni che scorrono lenti prima dell’evento, quando i pensieri si infittiscono e i dubbi si addensano come nuvole su un cielo sereno. Questo mi agita profondamente.

Dentro di me, la decisione era già presa, anche se, rimandando l’ufficialità, speravo ingenuamente di sfuggire a questa inutile inquietudine.

Finalmente è giunto il momento della partenza. A Granada, il sole si concede con calma; la partenza era fissata per le 8:00, le prime luci dell’alba timidamente si affacciano solo verso le 7:30. Le notti sono lunghe, fin troppo. E questo, lo so già, sarà una sfida.

Gli iscritti a Badlands non sono molti, circa 300 tra singoli e coppie. Ciclisti provenienti da tutta Europa e oltre, uniti in una grande festa, un'occasione preziosa per condividere la nostra passione e misurarci con chi vive la stessa emozione.

I primi chilometri scorrono a ritmo controllato, tra le ripide salite che già dal cuore di Granada ci conducono lontano, lasciando presto l'urbanità per le prime distese verdi della Sierra Nevada. Il territorio intorno alla città è un susseguirsi di contrasti: alte montagne che passano da aride pareti rocciose a boschi di conifere, disegnando paesaggi che sfiorano il nostro immaginario più autentico di montagna.

Il nostro tour prevedeva 790 km con circa 16.000 metri di dislivello. Già nei primi 30 km avevamo accumulato oltre 1000 metri di elevazione, un segnale chiaro di quanto la nostra marcia sarebbe stata lenta.

Luca ed io avevamo in mente di completare il percorso in circa tre giorni, e la chiave per riuscirci era la costanza: poche soste, un ritmo regolare ma senza fretta, mantenendo sempre l'equilibrio tra impegno e respiro.

Per me, i primi chilometri sono sempre i più duri, soprattutto mentalmente. La mente è ancora legata al ritmo familiare delle uscite di casa, quando in poche ore si coprono velocemente chilometri, sempre con la fretta di rientrare per un motivo o per l’altro. Qui, invece, la fretta non ha spazio. I calcoli e la pianificazione devono essere completamente rivisti: per coprire 50 chilometri può servire anche mezza giornata, tutto dipende da una miriade di fattori – il dislivello, il terreno, gli imprevisti. Ma una volta accettato questo nuovo ritmo, tutto si fa più leggero, più naturale.

 

 

 Avevo individuato alcune città principali dove fermarmi per recuperare energie e rifornimenti. La prima era Gor, a 230 km, che ho raggiunto la sera del primo giorno. Questo piccolo villaggio, incastonato tra le montagne, era in festa, e all'arrivo ci attendevano applausi calorosi dagli abitanti, che accoglievano ognuno di noi con un sorriso.

Tra Gor e la tappa successiva si stendeva il tratto più selvaggio e solitario del percorso: 100 km di boschi, senza traccia di civiltà. Sono ripartito intorno a mezzanotte, carico di acqua e cibo, sperando di raggiungere la prossima città con la luce del nuovo giorno.

È stata una notte dura. Ho dovuto concedermi un breve sonno per ritrovare lucidità, ma alla fine ce l’ho fatta: con le prime luci dell’alba, mi avvicinavo alla meta, ricaricato dall’energia del sole che sorgeva tra le nuvole, come un dono inaspettato.

 

 

Il giorno seguente sarebbe stato il più impegnativo. La stanchezza si faceva sentire, e non riuscivo a trovare il ritmo. Pedalavo a tratti, fermandomi troppo spesso. Il caldo era insopportabile, sentivo la pelle bruciare sotto il sole e la testa pulsare dentro il casco. Arrivato a sera, esausto, mi sono fermato per una cena meritata e una pausa più lunga. Avevo deciso di sfruttare le ore più fresche della notte per raggiungere il 500esimo chilometro, e poi spingermi altri 100 km fino all'alba del terzo giorno.

Questi piccoli traguardi mentali erano la mia ancora di salvezza. Mi aiutavano a non cedere, a continuare a pedalare, anche se lentamente. Ingannavo la fatica chiamando gli amici, soprattutto Benedetta, che come sempre vegliava su di me, proprio come fa ogni giorno della mia vita.

Di sera e durante la notte, le gambe sembravano girare meglio. Dopo un breve riposo a Nijar (km 544), mi sono preparato ad affrontare la temuta salita del Collado Colativì: 18 km con 1000 metri di dislivello. Era l'ultima grande sfida che mi separava dal raggiungere il 600esimo chilometro nella mattina del terzo giorno. Così, raccolta l'energia necessaria, sono ripartito verso le tre del mattino.

L'alba, vista dalla cima della salita, è stata un'esperienza indimenticabile, un momento in cui la fatica svaniva di fronte alla bellezza del mondo che si risvegliava. Ce l’avevo fatta. E poi, via verso Tabernas, con una discesa rapidissima che, seppur massacrante per mani e piedi, si è rivelata un dolce regalo, mentre i chilometri scorrevano velocemente sul Garmin, segno di una nuova conquista.

A Tabernas (km 574) mi sentivo pieno di energia, in perfetta sintonia con le mie aspettative. Una colazione abbondante a base dei tipici bocadillos mi ha dato la forza per ripartire subito, pronto ad attraversare il deserto, scenario iconico dei celebri film "spaghetti western".

I paesaggi surreali e il caldo soffocante creavano un contrasto potente, mentre i primi dolori articolari iniziavano a distrarre la mia concentrazione. Ero diviso tra l’euforia suscitata da quella vista indimenticabile e la fatica, che mi riportava con i piedi per terra, ricordandomi il peso di ogni chilometro percorso.

Con enorme fatica sono riuscito a raggiungere il mio ultimo traguardo mentale: i 700km. Ora ne mancavano solo 90 al finish, tuttavia gli organizzatori chiamavano questa tratta “The Last Hell” e sicuramente c’era un motivo.

Erano infatti 90km di scalata, con più di 3000mt di dislivello da macinare. Avevo iniziato questa ultima tratta al tramonto, stavo per trascorrere la mia terza notte in bianco.

 

 

Il corpo non voleva cedere, ma la mente era ormai allo stremo. Ed è in quel momento che ho vissuto qualcosa di nuovo, qualcosa che non avevo mai provato prima. Pedalavo, seguivo la traccia, ma nel frattempo sognavo, rendendomi conto di aver perso ogni lucidità. Inizialmente, la sensazione mi ha spaventato, ma poi ho iniziato a lasciarmi andare, permettendo alla mente di vagare libera, accarezzata da queste dolci illusioni.

Durante quella notte, non ero più solo. Ho pedalato con tutti coloro che mi avevano dedicato un pensiero. I miei compagni di squadra, i Sauvage, che non hanno mai smesso di incitarmi. Luca "Jerry", con la sua voce gentile e incoraggiante. Enry e Lore, la grande coppia racing di Bike Line, i cui messaggi di forza mi accompagnavano chilometro dopo chilometro. E poi Mattia, il mio angelo custode in questa avventura e in molte altre.

Eravate tutti lì con me, su quelle interminabili salite nascoste nel buio della notte, condividendo ogni pedalata e ogni respiro, come un abbraccio invisibile che mi sorreggeva fino all'alba.

 

 

E infine eccolo lì, il villaggio di Capileira, il traguardo al 790esimo chilometro. Ero arrivato in circa due giorni e 23 ore. Non ho grandi ricordi di quel preciso istante; la consapevolezza di ciò che avevo appena compiuto è arrivata solo più tardi. Non era tanto il risultato a riempirmi d'orgoglio — c'è chi corre molto più veloce, e io ho avuto la fortuna di evitare imprevisti. Era piuttosto la sensazione di aver vissuto un'esperienza unica, un'avventura che difficilmente dimenticherò.

Non vedo l'ora di condividerla con voi, sperando che stiate leggendo queste parole con gioia. Se c'è qualcosa che vorrei lasciarvi, è l'ispirazione per intraprendere la vostra prossima avventura, con la stessa passione e meraviglia che mi ha accompagnato lungo ogni chilometro.

 

 Autore: Fabio Conti

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